martedì, settembre 22, 2009

Afganistan

Non sono mai stato favorevole agli interventi militari, anche se alcune motivazioni potessero sembrare vere, alla fine tutte le azioni militari hanno sempre portato ancor maggiori lutti e miserie. Ma come si fa ad avere delle certezze in questo campo, certo le guerre andrebbero evitate e prevenute, non arrivare al punto che si rende necessario un intervento militare,.. ma di solito ci fa arrivare. Adesso non saprei in poche parole riassumere l’orrore della guerra che ho vissuto più da vicino, in Iugoslavia negli anni novanta, non saprei spiegare il coinvolgimento e la colpevole ipocrisia dell’Europa in quella vicenda, non saprei dire se ad un certo punto non abbia anch’io desiderato un intervento militare in Kossovo, anche se poi anche lì le truppe Nato hanno combinato guai, uccidendo civili, usando bombe all’Uranio, che hanno addirittura contaminato gli stessi militari che le tiravano. Non riesco a pensar in bene quando vedo i militari in azione, anche se la considerazione che dovrebbe consolare è che sarebbe il male minore. Si può pensare che le cose dovrebbero essere diverse da come sono, la storia dovrebbe far capire in che modo evitare di ripetere gli stessi sbagli, invece oggi, dopo otto anni di guerra in Afganistan, oltre ad aver visto che la guerra non è un metodo valido per migliorare la situazione, ci tocca anche constatare la confusione di idee e la ipocrisia di chi invece aveva appoggiato la scelta dell’intervento militare. Perché mi sembra evidente che pur mettendo per nome alla missione “Peace” si tratta comunque di una situazione di guerra, molto pericolosa, perché i nemici sono agguerriti e determinati. Perché ci tormentano con queste regole d’ingaggio che sono un argomento inutile quando il nemico si elimina da se facendosi esplodere. Perché dopo ogni sconfitta, il giorno dopo tirano fuori tutti i loro dubbi, con tutti i rischi che ciò provoca, quando le stime per una soluzione del conflitto parlano di N. anni prima di raggiungere una soluzione. Io sono triste per le vittime di questa guerra, civili e militari, sono triste perché si cerca di rigirare la frittata, perché manca una iniziativa politica che facendo leva sulla presenza militare e sulle intenzioni più volte dichiarate di volere la pace, si trasformi in una iniziativa che dia un senso e speranza al futuro di quelle popolazioni al nostro. Afganistan e non solo quello. Per avere un’idea delle vicende e seguire più da vicino queste vicende meglio spegnere la tv e dare un’occhiata a siti di chi ha esperienza diretta sul posto e soprattutto si è sempre dichiarato neutrale rispetto alle parti. Vedi Peace reporter.

lunedì, settembre 14, 2009

Mare nostrum

Il mare è un richiamo della natura, a me viene sempre in mente la storia antica, le imprese di navigazione e di commercio di greci, etruschi e romani, ma anche le avventure vissute direttamente su un piccolo guscio di 9m, in mezzo alla tempesta, nelle mani di un capitano alla sua prima traversata. La navigazione e la sua storia con Magellano, Soldini e tutti quanti, dopo l’alpinismo e l’esplorazione, è un argomento che mi attrae sempre. Poi c’è anche l’aviazione, l’astronautica, la speleologia invece già mi attrae meno. Ritorno in questi luoghi dopo circa 10 anni e posso constatare con piacere che poco o nulla è cambiato, ovvero i posteggi auto sono più organizzati, la viabilità è stata ritoccata, ma c’è ancora quella casa in rovina e la focacceria sotto i portici sforna la stessa farinata. Il richiamo ci porta nei pressi del confine con l’acqua a trascorrere alcune ore a guardarci attorno e a fruire di un ottimo microclima, eventualmente movimentato da qualche contatto ravvicinato col liquido verde azzurro che ci fronteggia. L’aria proviene dall’entroterra ed è carica di particelle che arrossano il cielo, qualcosa di molto esteso brucia qualche foglia carbonizzata giunge fin qui, con rassegnazione seguiamo le carambole dei canadair sulle nostre teste.

Qui nell’ultimo settore prima dell’acqua tutto è speciale, ma alle spalle un intreccio di vegetazione incolta e qualche residuo di vecchie coltivazioni d’ulivo e vite, molte tracce di vecchi incendi, la macchia mediterranea che è sostituita da rovi, edere e robinie, l’ecosistema appare impoverito poche specie vegetali si diffondono disordinatamente, la sensazione è di abbandono, una fuga dopo aver però combinato un bel casino, senza voltarsi a guardare quel che si lascia dietro .

Per non parlare della fauna, sia di quella andata arrosto negli incendi, sia di quella che a fatica riesce a inserirsi e soppravvivere in qualche piccolo spazio.

Bisognerebbe essere di queste parti per entrare nel merito di queste osservazioni, la nostra è solo una rapida occhiata ai posti attorno e alcune semplicistiche osservazioni potrebbero essere inadatte, ma il fatto che poco distante un bosco stia bruciando non porta a considerare positivamente l’aspetto trasandato dei boschi qui attorno. Meglio concentrarsi su quel che accade in questa limitata striscia di terra a contatto con l’acqua. Sembra che di là, nella parte liquida le preoccupazioni affondino e l’ordine dei pensieri si debba rifare. Anche il gommone che è stato messo in acqua e che ha attraversato la zona balneabile con il motore acceso invece che a remi se n’è andato, sparito all’orizzonte, o perlomeno rimpicciolito al punto da essere invisibile. Non ci sono moto d’acqua e pedalò, però qualche motoscafo grosso passa a manetta a ridosso delle boe che delimitano le acque destinate alla balneazione, questi scafisti probabilmente hanno appena parcheggiato l’automobile e saliti in barca continuano a cercare la linea della strada in mezzo all’acqua. Però tutto ciò passa come un fastidio, certo non ci siamo allontanati abbastanza dalla città per evitare i motori e l’affollamento per cui bisogna accontentarsi. Infatti qui su questa stretta striscia di sassolini siamo in molti e ciò ci sta bene. Il posto è speciale, se da un lato è l’acqua a delimitare, dall’altro c’è la normalità con i suoi aspetti codificati, spostarsi, accudirsi, organizzarsi. Qui nella zona franca nessuno alza la voce contro i venditori ambulanti illegali che passando e ripassando con le loro mercanzie inutili inducono a pensare alle loro esistenze, alla diversa realtà che al di là di questa stretta striscia queste persone vivono.




Mi sento già triste al pensiero che non potrò stare per sempre in questa striscia, in questa zona franca, devo ritornare a sentire parlare di clandestini e immigrati come se fossimo in guerra. Già, mi stavo dimenticando che la vita è lotta per la sopravvivenza e nella lotta c’è chi vince e chi perde.

martedì, settembre 01, 2009

Lenzspitze - Nadelhorn

Bon mais Long.
Anche se le gambe mi fan male, i piedi sono massacrati, lo stomaco è annodato, la cosa che più mi spiace è lasciare questo paese senza auto per tornare nei dintorni della città con il maggior numero di auto per km quadrato in Europa. Prima di partire ancora un’occhiata alla lenzspitze, alla cresta, e al rifugio. Tutto troppo veloce, una tirata sola da questa mattina alle 5, in perfetto stile “lumbard”, vai, fai, non fermarti, non perdere tempo. Mi piaceva oggi guardare dall’alto verso la Lombardia laggiù sotto alle nuvole, mentre qui aria tersa, sole e caldo nonostante fossimo abbastanza sopra i 4000m. Da queste parti sul ghiacciaio c’è un ristorante girevole da cui si dice che nei giorni con aria tersa si possa vedere il chiarore della città di Milano , negli altri giorni invece si vedono solo le montagna attorno, ma si sa che esse non emettono luce e di notte sono indistinguibili. In compenso da Milano con un cannocchiale, sempre nelle giornate terse si possono distinguere le montagne di cui parliamo. Ma non è la stessa cosa. Oggi per la verità non ci siamo accorti del tempo che passava, la principale preoccupazione, il meteo, non ha mai impensierito, per cui ci siamo dedicati interamente solo a quello che stavamo facendo, percorrere un itinerario alpinistico in alta quota. Concentrazione a salire a tastare le rocce instabili, a trovare qualche spuntone per assicurarsi, recuperare, attrezzare la corda doppia, rilegarsi, ripartire. Quando si è impegnati al 100% a valutare quello che si sta facendo, il tempo passa velocemente. Per questo adesso siamo già in auto di ritorno a casa. Allo stesso modo adesso alla guida dell’automobile è necessario concentrarsi in quello che si sta facendo, forse ancora di più perché bisogna capire anche che intenzioni hanno gli altri automobilisti, la faccenda è complicata. Mi ricorderò del silenzio di questo paese senza automobili più della montagna e della cresta che abbiamo percorso, già nel corso della salita avevo perso il conto dei torrioni superati e ridiscesi, dopo un po’ era diventato un automatismo che inaspettatamente si era interrotto sulla vetta del Lenzspitze, e allo stesso modo era terminato sul Nadelhorn quando pensavamo che ci fossero ancora torrioni da scavalcare. Sarà stata la concentrazione e l’impressione dei panorami a tagliare risorse alla memoria. Rimane una vaga idea della sensazione di quei momenti, ma l’effetto svanisce velocemente, per capire bisognerebbe farsi trasportare lassù ad osservare gli alpinisti che salgono e liberi da occupazioni carpire la sostanza della situazione. Infatti la descrizione a caldo che abbiamo concordato con la coppia di francesi incontrati in cresta, e rincontrati in discesa verso Saas Fee, è stata lapidaria “bon mais long”, avrei voluto dire qualcosa d’altro , francese permettendo, perché la fatica meriterebbe qualche motivo in più, ma in quel momento non mi veniva in mente.

Lenzspitze da Saas Fee


Saas Fee dai pressi della Mischabelhutte

Sulla cresta del Lenzspitze

Il tratto di neve a fianco della nord del Lenzspitze

Nadelhorn e cresta di collegamento

Nadelhorn

Discesa dalla normale del Nadelhorn

Lenspitze nord

Cresta Lenzspitze - Nadelhorn

Itinerario

La traversata


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