lunedì, settembre 14, 2009

Mare nostrum

Il mare è un richiamo della natura, a me viene sempre in mente la storia antica, le imprese di navigazione e di commercio di greci, etruschi e romani, ma anche le avventure vissute direttamente su un piccolo guscio di 9m, in mezzo alla tempesta, nelle mani di un capitano alla sua prima traversata. La navigazione e la sua storia con Magellano, Soldini e tutti quanti, dopo l’alpinismo e l’esplorazione, è un argomento che mi attrae sempre. Poi c’è anche l’aviazione, l’astronautica, la speleologia invece già mi attrae meno. Ritorno in questi luoghi dopo circa 10 anni e posso constatare con piacere che poco o nulla è cambiato, ovvero i posteggi auto sono più organizzati, la viabilità è stata ritoccata, ma c’è ancora quella casa in rovina e la focacceria sotto i portici sforna la stessa farinata. Il richiamo ci porta nei pressi del confine con l’acqua a trascorrere alcune ore a guardarci attorno e a fruire di un ottimo microclima, eventualmente movimentato da qualche contatto ravvicinato col liquido verde azzurro che ci fronteggia. L’aria proviene dall’entroterra ed è carica di particelle che arrossano il cielo, qualcosa di molto esteso brucia qualche foglia carbonizzata giunge fin qui, con rassegnazione seguiamo le carambole dei canadair sulle nostre teste.

Qui nell’ultimo settore prima dell’acqua tutto è speciale, ma alle spalle un intreccio di vegetazione incolta e qualche residuo di vecchie coltivazioni d’ulivo e vite, molte tracce di vecchi incendi, la macchia mediterranea che è sostituita da rovi, edere e robinie, l’ecosistema appare impoverito poche specie vegetali si diffondono disordinatamente, la sensazione è di abbandono, una fuga dopo aver però combinato un bel casino, senza voltarsi a guardare quel che si lascia dietro .

Per non parlare della fauna, sia di quella andata arrosto negli incendi, sia di quella che a fatica riesce a inserirsi e soppravvivere in qualche piccolo spazio.

Bisognerebbe essere di queste parti per entrare nel merito di queste osservazioni, la nostra è solo una rapida occhiata ai posti attorno e alcune semplicistiche osservazioni potrebbero essere inadatte, ma il fatto che poco distante un bosco stia bruciando non porta a considerare positivamente l’aspetto trasandato dei boschi qui attorno. Meglio concentrarsi su quel che accade in questa limitata striscia di terra a contatto con l’acqua. Sembra che di là, nella parte liquida le preoccupazioni affondino e l’ordine dei pensieri si debba rifare. Anche il gommone che è stato messo in acqua e che ha attraversato la zona balneabile con il motore acceso invece che a remi se n’è andato, sparito all’orizzonte, o perlomeno rimpicciolito al punto da essere invisibile. Non ci sono moto d’acqua e pedalò, però qualche motoscafo grosso passa a manetta a ridosso delle boe che delimitano le acque destinate alla balneazione, questi scafisti probabilmente hanno appena parcheggiato l’automobile e saliti in barca continuano a cercare la linea della strada in mezzo all’acqua. Però tutto ciò passa come un fastidio, certo non ci siamo allontanati abbastanza dalla città per evitare i motori e l’affollamento per cui bisogna accontentarsi. Infatti qui su questa stretta striscia di sassolini siamo in molti e ciò ci sta bene. Il posto è speciale, se da un lato è l’acqua a delimitare, dall’altro c’è la normalità con i suoi aspetti codificati, spostarsi, accudirsi, organizzarsi. Qui nella zona franca nessuno alza la voce contro i venditori ambulanti illegali che passando e ripassando con le loro mercanzie inutili inducono a pensare alle loro esistenze, alla diversa realtà che al di là di questa stretta striscia queste persone vivono.




Mi sento già triste al pensiero che non potrò stare per sempre in questa striscia, in questa zona franca, devo ritornare a sentire parlare di clandestini e immigrati come se fossimo in guerra. Già, mi stavo dimenticando che la vita è lotta per la sopravvivenza e nella lotta c’è chi vince e chi perde.