mercoledì, maggio 29, 2013

Punta d'Ondezana

Non c’è niente da aggiungere a quanto nel web si dice di questa gita scialpinistica, tutti i report sono concordi nel descrivere i punti caratteristici dell’itinerario. Da parte nostra inoltre abbiamo imbroccato una giornata buona con freddo notturno,  manto ben rigelato e portante in salita, buon scongelamento superficiale senza eccedere in discesa. A parte gli aspetti tecnici dell’itinerario, non da poco, è stato emozionante ritornare in questi luoghi. La memoria lontana e vaga non ha potuto ricostruire del tutto il personale trascorso qui, alle vaghe immagini tornate in mente si sono aggiunti alcuni flash e probabilmente alcune distorte ricostruzioni di quelli che furono momenti forti, le arrampicate al Becco di Valsoera. 
Rieccomi nel selvaggio vallone di Piantonetto, anche stavolta per iniziativa di  Natale, é domenica sera, siamo diretti al rif. Pontese, poco sopra la diga. Arriviamo su insieme a cinque ragazzotti che occupano e riempiono il locale e cominciano a trafficare con fornellini e stoviglie mentre noi dopo uno spuntino ci sistemiamo direttamente in branda.  Purtroppo i 5 tipi, dalla spiccata ristrettezza comunicativa, ma con eccellenti limiti percettivi, smettono di armeggiare solo verso mezzanotte, ma ricominciano però verso le 3:30 impiegando un’ora per  prepararsi e uscire, lasciando residui della loro presenza sui tavoli e sul pavimento. Penso rassegnato che anche quassù abbiamo costatato la presenza della sindrome da convivenza forzata  che affligge tutti noi, chi più, chi meno, costretti a volte al  “Border Line” del comportamento.  Peccato perché con la gita in montagna si vorrebbe anche lasciare indietro con l’aria viziata della pianura anche la maldisposizione nel prossimo. Però quando usciamo dal rifugio e cominciamo la salita le cose cambiano. Non ci sono più segni e rifermenti ai problemi della collettività e della natura umana. Per fortuna non sono solo, altrimenti l’isolamento sarebbe troppo forte e il senso di wilderness inquietante.  La presenza di un compagno mi rassicura, procediamo a vista cercando di percepire eventuali pericoli degli incombenti rilievi e delle ripide superfici scivolose su cui ci muoviamo. Anche se tutto attorno sembra congelato e ben cementato
 Il silenzio mi colpisce, il vento è assente, i pendii non hanno dimensione, solo il tempo impiegato ad attraversarli da la misura dello spazio. E’ una di quelle occasioni in cui riesco a lasciare da parte il mondo  e a spostare l’attenzione della mente solo sul fisico e su quello che mi circonda. Mi muovo, vedo, sento, e intanto valuto le forma e le distanze attorno e intanto sto già valutando la nuova posizione che a breve raggiungerò. Il tempo è stabile, non sembrano esserci pericoli incombenti anche se le la forza di gravità al quadrato  moltiplicata per l’altezza e per la massa è comunque un numero grande. Ma, l’attrito e la forza di coesione delle molecole d’acqua ghiacciata in questo momento hanno il soppravvento. L’ambiente man mano che lo si scopre  diventa più familiare, quando finalmente arriviamo su non c’è altro da scoprire. Dall’alto la visione fornisce gli ultimi dettagli  alla mappa dei luoghi che si è formata nel corso della salita.

In discesa di tempo per pensare ce n’è meno, ma già il posto  appare meno ostile. La non conoscenza, (ignoranza), è il vero fattore che rende l’uomo insicuro e meno libero. Questo aspetto è di primaria importanza anche laggiù, nel mondo degli umani, dove le masse sono spesso afflitte da insicurezze che forse qualcuno alimenta proprio per distogliere la attenzione e limitare il campo di percezione. Rendere  l’ambiente e la vita insicura, spaventare il popolo, renderlo  incapace di comprendere a fondo la situazione. C’è chi ne approfitta e trae vantaggio da questo e in generale  ha interesse ad alterare la natura delle cose. Sennonché, qui non ci sono trucchi e quel che si vede è, giù invece è più difficile discernerne il concreto dall’astruso perché una stuoia di intermediari si frappone alla  sostanza delle cose. Il concetto appare chiaro, ma di tempo per rifletterci sopra ce n’è poco, la concentrazione nello sciare prima, la fatica e il cammino di ritorno nell’ultima parte della discesa al di sotto del rifugio distolgono dal pensare. Poi, il rientro a casa e l’attraversamento sulla tangenziale nell’ore di punta del circondario di uno dei luoghi più popolati del pianeta, determina  definitivamente il rientro nella “normalità”. Capisco che non possa essere diverso, che alla fine come al solito ci sia un po’ di confusione, restano le sensazioni degli ampi spazi verticali e  alcuni pensieri sparsi che solo per un po’ mi renderanno apatico e disadattato.

2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

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giugno 14, 2013  
Anonymous mauro said...

Insieme a quei cinque trovati al rifugio ci starebbe bene questo qui che mi pare si occupi di forni a micronde.

giugno 19, 2013  

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