lunedì, ottobre 03, 2011

Forever

Che bello, adesso non cambia più niente. L’estate non finisce più, invece di essere contenti, tutti si lamentano, non vedono l’ora di accendere il riscaldamento in casa e di tirare fuori la nuova giacca imbottita. A cosa serve l’estate se hai già fatto le ferie. Si perché siamo abitudinari, vogliamo essere rassicurati che tutto si svolga nel modo consueto.  Oramai la consapevolezza del declino civile della società, di tutti noi, lascia poco spazio alle ipotesi ottimistiche. Non a differenza di quelle popolazioni alle prese con problemi di sopravvivenza, la cui occupazione principale è mettere qualcosa in pancia, anche per noi, la quotidianità, in essa la ripetitività, produce  un rassicurante  appagamento, pari a quello di mangiare. Che bello, si parla di crisi di recessione, ma intanto ogni giorno si svolge non diversamente dal precedente.  L’apatia si diffonde dolcemente, ci si prepara a fronteggiare un pericolo che incombe, come nel deserto dei Tartari di Buzzati, mentre si ignora che il pericolo è la abitudine e la rinuncia al cambiamento che atrofizza lentamente la libera scelta, diventata un elemento di disturbo allo svolgersi del rito abituale, la necessità. Il rapporto che si crea tra tutti noi è di sod-disfacimento dei bisogni elementari, mangiare, godere, distrarsi, evadere, obiettivi minimi, risultati assicurati. Spostare l’obiettivo di poco non si può, appena esci dal sentiero tracciato ti sporgi su di un baratro, una vista orribile, fa paura. Si potrebbe immaginare che tutto sia in cambiamento, come effettivamente è, ma non è necessario tenerlo in considerazione. Perché è molto normale non capire quel che si vede, non vedere quel che si sa, non sapere quel che si pensa e non pensare a quel che si fa. Riempita la pancia, e soprattutto la testa, con la stessa materia oltretutto, resta poca propensione ad ulteriori approfondimenti.